Dieta e lavoro d'ufficio
In Italia, come nella maggior parte dei Paesi industrializzati, si assiste ormai da decenni a
un progressivo declino del numero di impiegati in mansioni che comportano lavoro fisico e a un aumento di lavoratori relativamente sedentari. Il fabbisogno energetico giornaliero quindi diminuisce, ma le statistiche dimostrano che la quantità di calorie assunte quotidianamente
invece continua a crescere.
Le cattive abitudini alimentari non finiscono qui: l'apporto nutritivo è spesso sbilanciato, e la distribuzione dei
pasti nel corso della giornata molte volte è sbagliata e controproducente.
Molte persone, ad esempio, non fanno colazione, correndo quindi il rischio di arrivare troppo
affamati all'ora di pranzo. Una colazione sostanziosa, a base di cereali,lattee frutta, è essenziale per cominciare bene la giornata, senza ovviamente
eccedere nelle quantità; se possibile, a metà mattina sarebbe opportuno mangiare un frutto o dei
cracker per mantenere costante il tasso glicemico nel sangue.
Il consumo eccessivo di caffè e bevande zuccherate è un altro difetto frequente nell'alimentazione
degli impiegati, e porta diversi effetti negativi. In primo luogo, la caffeina,contenuta nel caffè
ma anche in alcune bevande gassate, come ad esempio quelle a base di cola, può portare
all'ipertensione. Lo zucchero, contenuto nelle bevande dolcificate, nelle brioches (una scelta
frequente per lo spuntino di metà mattina al bar) ma solitamente anche nel caffè stesso (a meno che
non lo si beva amaro) può portare all'iperglicemia, all'aumento della massa grassa dovuto alla
trasformazione in grassi degli zuccheri non consumati per produrre energia e nei casi più gravi anche al diabete.
Il pranzoè un momento critico: la tradizione italiana lo colloca infatti al primo posto tra i pasti
quotidiani, considerazione giustificata dal fatto che fino a pochi decenni fa la maggioranza della popolazione svolgeva un'attività fisica intensa nel corso di tutta la giornata e seguiva
un'alimentazione povera di grassi e zuccheri semplicima relativamente ricca di carboidrati e
zuccheri complessi. Oggi, quelli che un tempo erano i piatti delle grandi occasioni (carne, dolci, formaggi etc.) sono diventati quotidiani e vengono consumati in eccesso. Le conseguenze di un
pranzo eccessivamente calorico e ricco di grassi e/o zuccheri comprendono una digestione
difficoltosache provoca sonnolenzae, potenzialmente, disturbi anche pericolosi come
la dispepsia. I sintomi appena descritti peggiorano notevolmente se si assumono bevande alcoliche durante il pasto di mezzogiorno.
Il pranzo dovrebbe invece assicurare un apporto energetico sufficiente a continuare senza problemi la giornata lavorativa, ma senza appesantire. Meglio quindi orientarsi su un menù che comprenda un primo piatto, possibilmente con un condimento leggero, un contorno a base di verdura e della frutta. Un pasto di questo tipo fornisce tutti i carboidrati e gli
zuccheri necessari per arrivare fino all'orario di chiusura senza problemi.
La cena, tradizionale momento di relax, non deve per questo trasformarsi in un'abbuffata senza
freni. E' opportuno che includa un secondo piatto
ad alto contenuto proteico, a base di carne,pesceo legumi, del pane,verduree frutta. Il ruolo ideale della cena è infatti il recupero delle energie spese durante la giornata, che deve tener conto della necessità di non sovraccaricare l'apparato
digerente poche ore prima di andare a letto.
Quando si parla di “dieta” è abbastanza automatico associare questa parola a una o più restrizioni imposte
all'alimentazione, magari associate a un meticoloso calcolo delle calorie assunte tramite i diversi alimenti. Questo approccio crea naturalmente un senso di
insoddisfazione che deriva dalla proibizione di cibi particolarmente graditi, e di conseguenza una
tendenza all'abbandono precoce della dieta.
Inoltre, la necessità di pianificare i pasti e considerare gli alimenti da un punto di vista
“matematico” rischia di rovinare il piacere della buona tavola. Il professor Steven Hawks, ordinario di Scienza della Salute presso la Brigham Young University di Salt Lake City (Utah, USA)
sostiene che per dimagrire bisogna avere un atteggiamento completamente opposto.
Il docente afferma di aver perso più di 20 chilogrammi e di essere riuscito a mantenere costante il nuovo peso senza
alcuna rinuncia di tipo alimentare. Segue quella che chiama “alimentazione
intuitiva”, ossia mangia tutte le volte che avverte il proverbiale “buco allo stomaco” e consuma gli alimenti che desidera in quel momento.
La sensazione di appetito indica infatti che il nostro corpo sta consumando le riserve alimentari accumulate, e se non è fuorviata da altri meccanismi psicologici ci porta ad assumere proprio i nutrienti di cui abbiamo
bisogno.
Psicologia e
alimentazione
Le “interferenze” sono però piuttosto diffuse e difficili da eliminare, dal momento che coinvolgono lasfera emotiva, i rapporti sociali e alcuni bisogni di appagamento molto forti anche se non direttamente collegati:
- alcuni cibi possono contenere sostanze che danno una sensazione di benessere, come ad esempio la caffeina, l'alcool e
alcuni componenti del cioccolato; questo porta a consumare alimenti che le contengono per il loro
effetto psicoattivo e non per il loro valore nutrizionale;
- si tende ad usare i piatti più graditi come premio o elemento di consolazione, caricandoli di un valore emozionale che supera la loro reale appetibilità;
- quando si mangia in compagnia, è frequente l'imitazione dei comportamenti altrui, specialmente
quando si ha bisogno di sentirsi integrati nel gruppo. In pratica, mangiamo e beviamo ciò che mangiano i nostri
amici o parenti perché l'abbiamo visto fare a loro e non perché ce lo chiede il nostro organismo;
- alcuni cibi, in seguito a campagne promozionali o anche al semplice passaparola, diventano “di
moda” e godono quindi di una considerazione maggiore di quella che meriterebbero in base alle loro reali qualità.
Come arrivare ad un'alimentazione
intuitiva
La soluzione del professor Hawks, anche se a prima vista può apparire semplice, richiede in realtà un certo lavoro
preliminare.
In primo luogo, bisogna cambiare completamente il proprio atteggiamento nei confronti del cibo,
eliminando qualsiasi tipo di pregiudizio e “spogliando” gli alimenti di tutti i valori non collegati al gusto di cui abitualmente sono investiti.
Ad esempio, il sapore di un dolce potrebbe risultarci particolarmente gradito perché lo associamo alla nostra infanzia, oppure perché ha un aspetto esteriore estremamente invitante.
Tutti questi elementi di disturbo vanno rimossi prestando maggiore attenzione alle sensazioni
fisiche che si provano durante i pasti, e ignorando qualsiasi altro tipo di stimolo collegato al
cibo (ad esempio, una confezione particolarmente accattivante o uno spot pubblicitario divertente o rassicurante).
Bisogna quindi disfarsi di una delle maggiori cause del desiderio di cibi poco sani, cioè l'effetto
privazione: quando non abbiamo a disposizione quello che vogliamo mangiare oppure ci è proibito di farlo il nostro desiderio aumenterà, mentre se siamo circondati dagli stessi alimenti, magari in abbondanza, ne saremo meno attratti, almeno nel lungo periodo.
Sembra paradossale, ma riempire la dispensa di “cibo – spazzatura” può portarci a mangiarne di meno.
Naturalmente, questo modello è appropriato solo per persone sostanzialmente sane (anche se magari
un po' sovrappeso), che non soffrano di disturbi collegati all'alimentazione di tipo fisico (intolleranze, diabete, aterosclerosi, etc.) o psicologico (anoressia, bulimia e simili).
Non si tratta certo di un percorso facile, ma ha l'indubbio vantaggio di non imporre alcun
sacrificio e, secondo il suo ideatore, porta spontaneamente ad un'alimentazione equilibrata. Per ottenere significative riduzioni di peso è comunque necessaria una buona dose di
attività fisica quotidiana mirata a contrastare l'aumento di efficienza del metabolismo che si
verifica quando dimagriamo.